La vita del fante di Costacciaro che salvò la vita di Mussolini

23336442_1580105652035455_2015606889_oCostacciaro – Vi fu un uomo, di “buona ventura”, il quale salvò Benito Mussolini, da sicura morte, durante la Grande Guerra. Tale storia, o, meglio, direi io, avventura d’un uomo coraggioso, potrebbe iniziare anche in questo modo.

Sì, “Qui comincia l’avventura del Signor Bonaventura”: non la vita d’un signore qualunque, però, ma lo specchio fedele dell’eroismo d’un’intera generazione di Uomini dell’Appennino, lanciatisi alla conquista del nuovo mondo e del loro esistenziale, legittimo e meritatissimo, “posto al sole”.

Gambucci è un antico cognome, tipico, e, si ritiene, quasi esclusivo, di Costacciaro. Nel territorio di tale Comune umbro, risultano, infatti, esistere, come confermano Graziano e Concetta Gambucci (quest’ultima, 89enne), tre distinti ceppi familiari di Gambucci.

Ai primi del secolo scorso, Girolamo Gambucci (30-7-1887 – 21-9-1930), figlio di Geremia e Tomasa Mariucci, con i due fratelli Luigi e Bonaventura, detto “Ventura” (Costacciaro, 14-7-1883 – Petrignano d’Assisi, 5-12-1979), possedeva, a Col Martino di Costacciaro, dove i tre fratelli avevano anche la casa, una fra le più vaste proprietà terriere del Comune, proprietà che egli coltivava in proprio.

La famiglia Gambucci di Col Martino, però, si componeva anche di una femmina, Angela, detta “Angiòla”, poi trasferitasi a vivere e, quindi, morta, a Pavona, non lontano da Roma.

Oltre alla grande casa paterna, i tre fratelli godevano, infatti, di due ampi poderi. Nei primi decenni del 1900, questi tre fratelli dovettero dividersi, fra loro, tale grande possessione fondiaria, nel modo in cui segue: Luigi (padre di Evaristo, Maria e Valeria, quest’ultima deceduta negli Stati Uniti d’America, dove, secondo il nipote Francesco, “Franco”, Gambucci, classe 1943, sarebbe andata a vivere nella stessa città in cui si era già stabilito il padre) prese la casa paterna di Col Martino di Sopra ed il podere circostante, di circa 30 ettari, Bonaventura ricevette 20.000 lire, con le quali acquistò una casa, con terreno, in località Scritto di Gubbio, a Girolamo toccò, invece, il grande podere lungo il Torrente Rio. Quest’ultimo fratello, tuttavia, non avendo una casa in cui abitare, ottenuto un prestito, iniziò, con coraggio e solerzia, a lavorare, da solo, come muratore. Per la stressante ed improba fatica, portata avanti unicamente con le sole sue forze, tuttavia, questi, al quale, negli anni 1915, 1925, 1926, 1928 e 1930, erano nati i cinque figli Olga, Geremia, Ada, Rita e Vincenzo, si ammalò, e morì, il 21 settembre 1930.

23379522_1579081922137828_388903735_oUn esiguo rudere di quell’abitazione, eroicamente eretta, con i sudori della miniera, da Girolamo stesso, in località “Selva Grossa”, resiste ancora e reca il nome di “Casa Vecchia” o “Casa Rotta”. Come raccontato, infatti, a chi scrive, in data di Giovedì 28-9-2017 (giorno della morte di “Cencino”, l’ultimo figlioletto di Girolamo), dalla figlia Floriana, sempre conosciuta e chiamata, però, con il secondo nome di “Fulvia”, nata, a Costacciaro, nell’anno 1932, poi trasferitasi, con la famiglia, a Scritto di Gubbio nel 1934 e, da decenni, residente a Petrignano d’Assisi, suo padre, dopo essere emigrato negli Stati Uniti, probabilmente seguìto da suoi tutori maggiorenni, all’età di soli quattordici anni e, dopo due rientri a Costacciaro, ritornato in America, 19enne, per la seconda e terza volta, rispettivamente il 13-9-1902 (con il piroscafo “La Lorraine”, salpato, dal porto di Le Havre, in Francia) ed il 10-11-1907, 24enne (con il piroscafo “La Touraine”, salpato, dal porto di Le Havre, in Francia), svolse, ivi (insieme ai suoi due fratelli Luigi e Girolamo, ma non ognuno in una miniera diversa per scongiurare il pericolo di morire, tutti e tre in una sola volta, per una frana, come aveva loro suggerito l’ingegnere responsabile della miniera stessa, bensì, tutti, fraternamente insieme, nella stessa, identica “iron mine”), il mestiere di “minatore del ferro”, nello Stato del Minnesota.

Rispondendo alla chiamata della Patria, però, Bonaventura ritornò in Italia nel 1915 e, militando nel 65° ed 85° reggimento fanteria, si fece, onorevolmente, tutta quanta la Grande Guerra 1915-1918, durante la quale ebbe a distinguersi, soprattutto, per un episodio, poi passato alla storia…

19243598_1579082645471089_694946408_oMio padre -ha affermato Floriana- ci ha sempre detto di aver conosciuto bene Benito Mussolini durante la Grande Guerra e di essere diventato un suo buon amico, finché un giorno, durante un combattimento, correndo, insieme al babbo, lungo un terreno difficile, fatto di asperità e trincee, Mussolini non cadde, pesantemente, in una “forma”, cioè dentro ad una cavità artificiale”. “Il futuro Duce -Floriana continua a riferire, puntualmente, il racconto di suo padre- si sarebbe fatto piuttosto male e non so come sarebbe finito se il babbo -come ripeteva abbastanza spesso- non l’avesse soccorso ed aiutato ad uscire. Mussolini conserverà sempre un sentimento di gratitudine verso mio padre Bonaventura, anche se non abbiamo, finora, ritrovato scritti o fotografie che possano attestare, inequivocabilmente, ciò”. “Purtroppo, infatti -aggiunge, mestamente, Floriana- molti ricordi di mio padre, divisi fra noi tanti fratelli, sono andati, per sempre, distrutti o perduti”. La storia di “Ventura” (questo era il suo diminutivo), che salvò il Duce nella Guerra 1915-1918, o durante un’esercitazione od il servizio militare, era notoria e data per verosimile, se non proprio per certa, dagli abitanti del suo paese di Costacciaro, specie da quelli che l’avevano conosciuto bene o che avevano, addirittura, fatto la guerra con lui e che, quindi, avrebbero potuto facilmente smentirlo, nel caso che il suo racconto non fosse stato veritiero.

A Bonaventura, che perdette suo padre Geremia nel 1897, la moglie e compaesana Maria Ciuferri, (figlia di Anna, detta “Annuccia”, la quale aveva una sorella di nome Angela, ma chiamata “Angiolina”, alla quale Anna si annegò una figlia piccola nelle fonti pubbliche di Costacciaro), dette, tra Col Martino e la sua “casetta rosa” in Piazza del Mercato, a Costacciaro, ben 14 figli, sette dei quali, però, tutti morti in tenera età, a causa di problemi nutrizionali, legati al latte materno, poi, per fortuna, risoltisi, grazie all’aiuto di un medico. Floriana, nata nel 1932 a Costacciaro, è l’ultima di questi 14 figli (di cui Fausto, Oscar, Ulisse, Remo, Santino e Giuliana, vissuti fino a non molto tempo or sono).

23314526_1579080438804643_605616011_o (1)Lucidissima, vitale e gagliarda donna d’un tempo, Floriana è fiera di suo padre e dell’esempio di onestà, rettitudine ed attaccamento al lavoro che lui le ha trasmesso e che, lei, ha passato, come un testimone, ai suoi figli e nipoti. Floriana ha dovuto allontanarsi sùbito dal suo paese natale di Costacciaro, ma c’è una cosa, in particolare (oltre ai parenti Gambucci, Ciuferri e Bregolisse), che continua a legarla, ed indissolubilmente, ad esso: il Fiume Chiascio. Il Chiascio, infatti, che le scorre dietro casa a Petrignano d’Assisi, acquista il titolo di fiume proprio nei pressi di Col Martino di Costacciaro, Fiume Chiascio, nel quale, senza conoscere minimamente i disegni che il destino gli stava preparando, Bonaventura, avrà fatto, da ragazzino, cento volte il bagno. Oltre, naturalmente, alla Signora Floriana, ringrazio, sentitamente, i figli Lucio e Paola Bolletta, per avermi permesso d’incontrarla, la nipote Carla Gambucci, per aver fatto da tramite tra me e tutti loro ed i signori Francesco e Girolamo Gambucci, Loretta Lupini ed Angelo Galli di Costacciaro, per le varie ed interessantissime informazioni, così tanto gentilmente fornitemi.

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