Frugale, sana, robusta la cucina della polenta. Un piatto arcaico che profuma di camino. Per secoli, fu fatta con farine di farro o d’orzo ma anche di segale, di miglio, di castagne e di fagioli che cedettero lo scettro al mais, scoperto nelle Americhe. Nelle Marche e nella vicina Umbria, la si adora fluida, conviviale, servita sulla “spianatora”, meglio se di legno di ciliegio o pero, condita con un sugo rosso di carni o anche in bianco. Però se la si abbina a prodotti vicini e lontani, diventa un ponte tra le comunità e svela inaspettatamente una sostenziale modernità.
Ponte tra le comunità
E’ la logica di “una domenica andando a polenta”, la manifestazione che, anima Arcevia ogni anno tra febbraio e marzo. Convenziona i ristoranti del paese per proporre menu che celebrano il 14esimo anniversario della (ri)scoperta dell’ottofile di Roccacontrada e della sua farina macinata a pietra, ma «tramite “patti di amicizia” – afferma Marino Montalbini, l’agricoltore custode di questo mais – associa la polenta con il formaggio di Fossa di Talamello, il tartufo di Acqualagna, il Lacrima di Morro d’Alba, il vino Pecorino di Offida e nel maceratese con la sapa di San Ginesio, il pecorino di Gualdo, il Varnelli di Pievebovigliana, il ciauscolo di Visso e la mela rosa dei Monti Azzurri e dei Sibillini».
«In fondo, una ricetta non è altro che è il frutto di un momento storico e sociale di contaminazione di altre culture – spiega Paola Cutrini, chef e professore all’Ipseoa “Varnelli” di Cingoli -. Dobbiamo far capire ai ragazzi quanto sia importante conoscere la storia di un territorio. Solo così è possibile pensare a nuove preparazioni».
Lavora una farina di mais ottofile quarantino. «Una varietà superiore per le sue caratteristiche organolettiche coltivata per uso domestico presso Treia». Con i suoi allievi propone raffinatissime lasagnette ricavate da una polenta raffreddata su lastra che taglia a quadri ed alterna a cubetti di baccalà rosolati con cipolle imbiondite e conditi con un sugo fatto di pomodorini, aglio, maggiorana, alloro, e un tocco di concentrato di pomodoro. Le presentano con una sfoglia croccante ottenuta da una polenta spalmata su carta da forno che passano al microonde e fanno essiccare. D’effetto i bocconcini di baccalà impanati in una tempura colorata dal nero di seppia. Il risultato è un piatto stellato che con la spolverate di foglie di maggiorana e d’alghe disidratate sa d’intercontinentale e d’integrazione.
Salata e dolce
Anche all’Alberghiero “F. Buscemi” di San Benedetto, la polenta è al centro d’interessanti proposte. Si fa rotolo e anche torta rustica e, a seconda della farcitura, diventa lo scrigno delle abitudini alimentari delle comunità. «Imburrare – commenta il professore Giovanni De Mola – un foglio di carta da forno, spalmarci uno strato di polenta spesso 1 cm e spremere al centro la farcia». La ottiene rosolando nell’olio, aglio, alloro, funghi porcini, aggiunge una burrata scolata, del parmigiano e lega il tutto con un albume. Arrotola, fa raffreddare e taglia fette di 2 cm di spessore che sistema nel forno spolverate di parmigiano, olio evo e fa gratinare a 180° per un quarto d’ora.
All’alberghiero “A. Panzini” di Senigallia, la polenta si cucina in tutti i modi. Il professore Roberto Mantoni l’ha spesso declinata con il mais di Arcevia. «E’ un cereale passepartout adatto per preparazioni salate e dolci e che s’inserisce bene nell’alimentazione odierna perché naturalmente privo di glutine, ricco di amido e dal basso contenuto proteico». Con le studentesse Fiorella Coppola e Maria Giuliani del 4° anno enogastronomia la declina giocando sugli impasti. Diventa tacos, burrito, cresce e pure cioccolatini. Basta preparare una polenta con 150 gr di farina di mais fioretto (ha una grana media più adatta), 400 gr di acqua, 100 gr di latte di mandorla e 60 gr di zucchero. Aggiungere, mentre è bollente, noci, mandorle, nocciole (tostati e tritati grossolanamente), uvetta, zenzero grattugiato e rhum. Stendere su foglio di acetato uno strato di 1,5 cm. Dopo averla fatto ben raffreddare, ricavare dei cubetti e glassarlo con del cioccolato fondente. «Basta aggiungere un uovo e farina di grano tenero all’impasto, stendere allo spessore di 3-4 mm e friggere in olio e si ottiene delle cresciole da servire con sapa o miele spolverizzati di zucchero a velo».
Cibosofia
Ricette preziose, diverse che svelano che la polenta di oggi non è solo “archeogastronomia” ma “cibosofia”. E’ una cucina che, nella tradizione, o nell’innovazione, richiede di “mangiare con la testa e non con la pancia”. Non è un banale intreccio d’alimenti. Ragione per cui i chef docenti che preparano i futuri chef, oltre al saper cucinare, insegnano il sapere di agricoltura, di geografia, d’ambiente, d’economie, di storia di comunità che si tramandano un seme o un piatto. Non è folklore. La polenta, come tanti altri piatti, è cultura contemporanea.
Véronique Angeletti@civetta.tv
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