Nell’Appennino marchigiano, si discute di un’Area Vasta 6 ossia di un area vasta sanitaria montana
Appennino Marchigiano – Arriva l’Area Vasta 6. Arriva la sanità della montagna. Ancora è una proposta ma è stata formalizzata in un emendamento al nuovo piano sanitario regionale ed è firmato dai consiglieri regionali Enzo Giancarli e Fabrizio Volpini. Chiede di inserire nella legge regionale sull’Asur del 2003 un’area chiamata «Area Vasta Montana che inizierà dal nord dell’Appennino marchigiano ed attraverserà il territorio di Matelica, fino a comprendere almeno Camerino, ed avrà come centro di riferimento Fabriano».
Insomma arriva un nuovo assetto geografico istituzionale che doterebbe i comuni montani di un’ Area Vasta, di un ente che, in linea con il bilancio dell’Asur, gode di un’autonomia gestionale, ha un suo piano che fornisce indirizzi, obiettivi e regola le dinamiche tra servizi sanitari, socio-sanitari e sociali e gli ospedali per acuti e di comunità.
Già se n’era parlato e dovrebbe godere di un bel consenso se non sono cambiati i pareri espressi al consiglio comunale aperto dedicato al punto nascita fabrianese indetto dal sindaco Gabriele Santarelli il 27 settembre 2018. In quell’occasione, l’idea era stata gradita dai sindaci dell’Ambito Sociale X, da quelli delle alte terre del pesarese e del maceratese ma non si concluse. Oggi, a distanza di un anno eccola riemergere.
Sulle convenienze, spetta alla politica capirne pregi e difetti più di tutto alla luce della Balduzzi. La legge che stabilisce l’equa distribuzione dei presidi ospedalieri e ne definisce i bacini di utenze”. Ossia che ci vogliono da 80 a 150mila residenti per un ospedale di base, da 150 a 300 mila, per uno di 1°livello ed oltre 600mila abitanti per uno di 2°livello. Il dato di partenza è 249 mila, il numero di residenti nel 2018 dei 92 comuni che, una volta, facevano parte delle ex comunità montane.
Però l’importante non sono le cifre ma il “sì” pro riorganizzazione dell’assetto sanitario. Il fatto che la sua nascita esprima un sentimento di “disuguaglianza” nella salute frutto di politiche accusate di aver depotenziato le strutture ed impoverito gli servizi senza tener conto delle specificità dell’area. Come la chiusura del Punto Nascita di Fabriano, di quello di San Severino Marche e tutti i problemi che affliggono la sanità dalle Alpe della Luna ai Sibillini.
Aleggia il sentimento che i gravi problemi della società montana non siano stati considerati. In primis, quello dell’invecchiamento. Dal 1951, la popolazione delle Marche è aumentata del 14,31% mentre nei 92 comuni montani diminuiva del 34,44% e nei 23 comuni sulla costa aumentava del 64%. Poi l’allungamento della speranza di vita che ha fatto crescere una domanda di cura e d’assistenza per una popolazione sempre meno autosufficiente; il calo della natalità e quel taglio di servizi in tutti gli ambiti, incluso il servizio postale, che la rende sempre meno attraente per imprese ma più di tutto per le giovani famiglie.
Pertanto considerando che le politiche sul Welfare obbediscono a scelte condivise, se applicate ad un’area omogenea, consentirebbe a chi amministra di affrontare le stesse problematiche. Ed il sentimento di “disuguaglianza” di essere mitigato da un sentimento di “appartenenza” alla montagna.
Un sentimento che politicamente era emerso agli “Stati della Montagna Marchigiana”, convegno sul primo anno di vita delle Unioni Montane promosso dall’Uncem che il 10 febbraio 2016 riuniva all’Oratorio della Carità di Fabriano tutte le U.M. delle Marche.
Il report sui problemi o le sfide della montagna fatto da Giancarlo Sagramola allora presidente dell’Um Esino Frasassi partiva da dati raccolti da Nicola Porcarelli e trovarono consenso presso tutti i sindaci-presidenti delle Um dalla Carpegna fino ai Sibillini e anche da quelli a margine come Tolentino o Cupramontana. Affrontarono i problemi per settori ma intersecandoli dimostrarono come la montagna era area disagiata. Dati che non sono cambiati e raccontano ancora oggi di una sanità presente con «soli quattro ospedali a servizio del 55% del territorio mentre la costa ne ha nove»; ha trasporti poco integrati, una viabilità a singhiozzi, una popolazione invecchiata che vive in territori marginali, giostra con risorse sempre più ridotte per i servizi sociali nonostante i territori delle U.M. coincidano con gli Ambiti territoriali sociali.
Da Fabriano, città geograficamente baricentrica nell’Appennino marchigiano, era partita la richiesta di una legge nazionale e regionale specifica che avrebbe avuto alla luce dei servizi e dei beni ecosistemici anche il suo solido sostegno finanziario. Si tratta del principio europeo della monetizzazione dei benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano. Ossia compensare in denaro i beni e i servizi forniti dalla montagna alla collettività come l’acqua, l’ossigeno, le cave, la legna, i funghi o i tartufi. «Perché le Unioni Montane non sono banali custodi ma progettisti dello sviluppo e queste sono risorse che devono entrare nei loro bilanci – spiegava l’on. Enrico Borghi, presidente Uncem per 18 anni -. La Montagna è la somma di genii loci e dunque di identità che devono aggregarsi per non lasciare che chi ci vive affrontare da riserva indiana il trend attuale per il possesso e il governo delle risorse naturali e così si riappropria e controlla il proprio sviluppo». Come ad esempio nel nostro Appennino l’accordo di programma ex Antonio Merloni, il modello “Meccano” per il rilancio del servizio alle imprese, il rilancio dell’artigianato tipico o la diffusione di un’agricoltura innovativa. Però, in quel clima generale dell’orgoglio montano, dell’area vasta montana sanitaria ancora non se n’era parlato.
Véronique Angeletti