Nel futuro c’è A.R.C.A. : perché dobbiamo coltivare grano ma anche pensare a rigenerare la terra
Mai così attuale il detto “non ci sono più stagioni”. L’inverno 2019-2020 colleziona primati con le sue temperature elevate e questo mese potrebbe essere il febbraio più caldo degli ultimi due secoli nell’Italia centrale assettata di piogge. Cambiamenti climatici che si traducono con fenomeni estremi, travolgono il calendario dei raccolti, intaccano il reddito dell’agricoltore e rafforzano la consapevolezza che esiste una grave problematica ambientale.
Un imperativo che le Marche affrontano di petto. Forse perché fa parte del Dna della nostra regione coltivare grano e pensieri. Il concetto delle comunanze agrarie e quello della mezzadria sono nati ottocento anni fa nel monastero camaldolese di Fonte Avellana a Serra Sant’Abbondio, qui l’agricoltura biologica mondiale per merito di contadini pionieri ha trovato le sue radici e qui, di nuovo, dal 2016 si sta ragionando su un’altra agricoltura, su un nuovo modello economico secondo cui si coltiva non per soddisfare l’uomo ma nel rispetto della terra. Un ritorno all’agricoltura di una volta, quando esisteva un’economia circolare, un metodo che vede impegnate dieci aziende agricole che producono grano tenero, sorgo, favino, pisello proteico per l’alimentazione dei polli della filiera bio del gruppo Fileni. Cinquanta ettari tra Falconara, Jesi, Cingoli, Apiro, Ostra, Ostra Vetere, Serra de’ Conti che coinvolgono i bacini idrografici delle Valle dell’Esino, del Misa e del Musone.
Promotori, tre imprenditori “nati sopra le stalle” della Vallesina. Bruno Garbini che per primo ci pensò negli anni ’80, Giovanni Fileni ed Enrico Loccioni. Orgogliosi delle loro radici contadine e preoccupati della scomparsa delle sane pratiche agricole che si curava del patrimonio “terra”, hanno investito cospicui investimenti su un metodo che oggi è tra gli obiettivi sostenuti dal Psr. Va oltre il biologico, si chiama Arca, ossia Agricoltura per la Rigenerazione Controllata dell’Ambiente, acronimo creato dal giornalista scomparso Mino Damato.
«Va oltre il biologico – spiegano Lorenzo Cingolani, ricercatore dei bioindicatori della rigenerazione dei suoli e Simone Tiberi, esperto nelle tecniche agronomiche biologico rigenerative – perché la pratica è più ortodossa della coltivazione bio. Si preoccupa del suolo, di garantirne la fertilità attraverso un rigido protocollo che impone una rotazione pluriennale di almeno cinque anni e non solo tre come nel bio, esige una lavorazione che non può invertire gli strati del terreno e dunque non li mescola più, infine impone di mantenerlo sempre coperto con il sistema del “cover crops” ossia una coltivazione di semi vari che non si raccoglie ma si distrugge in loco al fine di dare al suolo i minerali, l’azoto e il carbonio delle piante».
Franco Fucili fa parte della cordata degli imprenditori agricoli impegnati nel progetto. «Purtroppo lavoriamo terreni disastrati dalla chimica. Rimangono compatti, non riescono più ad assorbire l’acqua. Sono convinto che questo modo di coltivare la terra può aiutarla a rigenerarla. Ovviamente un anno di coltivazione non è probante ma già, con i miei dipendenti, sentiamo che i terreni sono più soffici, sono più umidi, trattengono più acqua. Addirittura i lombrichi sono ricomparsi nelle zolle». Nel progetto ci ha investito anche lui: ha dovuto dotarsi di macchinari che sollevano il terreno di pochi centimetri, non lo capovolgono, sia quando lavorano la terra, quando seminano o ancora tranciano e mescolano. Un’altro modo di fare agricoltura che darà le sue prove scientifiche sottoponendo i terreni lavorati con il metodo Arca all’analisi del team di Antonietta La Terza dell’Università di Camerino per valutare il metodo sul comportamento e sulla quantità degli indicatori biologici e dell’équipe di Giuseppe Corti della Politecnica di Ancona per il miglioramento della sostanza organica.
Véronique Angeletti@Civetta.tv
Gabriele Tanfani, agronomo ed agricoltore a Ostra Vetere, preoccupato per lo sfruttamento moderno che impoverisce i terreni, ha scelto di applicare il metodo Arca ad un quarto della sua proprietà.
Lavora terreni argillosi, complessi, certificati biologici e già nota migliorie significative.
Oltre a coltivare cereali, erba medica, è specializzato nei semi di farro, di crescione, di aneto.
Produce in un corridoio dove vige un particolare bioclima.
Tramite un’azienda specializzata rifornisce le piattaforme olandesi ma più di tutto il sud-ovest asiatico, vorace di semi di alta qualità.
Ve. An.