Parla l’Anonimo Borghigiano, il poeta vernacolare fabrianese Teseo Tesei

Il poeta Teseo Tesei

Il poeta Teseo Tesei

Nello scorso mese di ottobre, il critico letterario e scrittore Lorenzo Spurio ha intervistato il  poeta dialettale fabrianese Teseo Tesei, maggiormente noto come “Anonimo Borghigiano”. 
Un incontro emozionante perché alza il sipario sulle intelligenti visioni di un uomo colto e gentile e sulle dinamiche poetiche con cui cerca di comunicare sentimenti ed emozioni. 
Tesei è nato a Staffolo (AN) nel 1938 ma vive a Fabriano dal 1961.
Ha scritto e rappresentato circa una decina di commedie in vernacolo sulla Fabriano dei secoli XIII-XIV-XV e pubblicato vari libri di poesia. “Poesie per pensare” e “Breviario di un pellegrino”, oltre al volume “Fatti nostri, una raccolta di storie di uomini che hanno vissuto nel corso dei secoli a Fabriano”. Di seguito, l’intervista realizzata da Lorenzo Spurio. Intensa e coinvolgente.
Lorenzo Spurio

Lorenzo Spurio

<< L’intervista1 lo confesso /– era forse un po’ troppo lunga – non direi invasiva, forse a tutto campo – in merito a vari aspetti del mondo poetico: a partire dalla sua creazione, ai nuovi linguaggi, alle sfide della poesia, al ruolo del poeta e altro ancora.

Sono stato felice di ricevere le sue risposte in merito ad alcune delle varie domande e, considerando i suoi contributi interessanti e valevoli di essere diffusi, ne riporto, in forma argomentativa i contenuti nel testo che segue.

Tesei ha avuto modo di osservare che “[il] “poeta” è una persona che ascolta tutte le creature che, in qualsiasi modo o maniera, lo interpellano e sente il bisogno di condividere con le persone che lo circondano le “emozioni” che, per quell’ascolto, maturano nel suo animo”.

Le parole “creature” e “animo” della sua risposta di certo non mi lasciano indifferente se penso alla nutrita e interessante attività di Teseo Tesei, ormai da vari mesi, di inviare a mezzo mail ogni tanto quale dono, sue poesie in dialetto e tradotte, con ampi commenti e meditazioni attorno a passi biblici, salmi e letture e considerazioni religiose. Una meditazione, la sua, che scava nel Verbo delle Scritture per renderlo attuale, alla ricerca di un senso e una difesa coerente dell’uomo del libero pensiero, in concordia col suo ambiente, capace di tensioni sociali e spiriti solidali.

Teseo Tesei nel corso dell’intervista sostiene: “per me la poesia è il bisogno che provo di relazionarmi nel modo più libero e anticonvenzionale con le creature che mi circondano”.

Ritorna la parola creature, come si vede. Il riferirsi all’alterità, alla nostra società, al gruppo umano del quale facciamo parte e che costituisce il nostro ambito relazionale e vitale è affidato al lemma di “creatura” piuttosto che a quella più ampia e generica di “uomini” o “persone”.

Nella meticolosa scelta del termine si ravvisa l’esigenza di prendere parte a quel discorso di palingenesi e natività, di creazione e filiazione che vede il singolo, l’uomo, ma, in via generale, la creatura, quale erede di un disegno divino, di una particolare visione cosmologica.

Se ha preferito non dare riferimenti di autori esteri in quanto al genere poesia che ha letto e apprezzato, di certo non ha mancato di darne per quanto attiene al contesto nazionale.

Prevedibile – ma non banale – la sua predilezione per un dialettale: “[Mi sento legato a] Giacchino Belli, indipendentemente dalle idee dell’uomo, che non condivido, ma per l’onestà e l’immediatezza con cui egli, con il suo verso, riesce a trasmettere ciò che sta provando”.

Si rende evidente un pensiero che, nel corso del tempo, è stato messo in risalto dai grandi, da Pasolini a Zanzotto, senza dimenticare la critica attenta di Franco Brevini, il friulano Pier Luigi Cappello e la cosiddetta stagione dei neodialettali, vale a dire che il dialetto è preferibile alla lingua in quanto codice linguistico diretto e primigenio dell’uomo, sua lingua madre, slegato da regole e influenze, sistemi grammaticali tendenti all’ufficialità conformata della lingua, atto linguistico che ha nella sua spontaneità e libertà le peculiarità distintive: “Penso che poesia dialettale sia trasmettere una sensazione (qualcosa che uno sente) senza volerla “tradurre” ma con il linguaggio più naturale, quello del proprio corpo, possibilmente cantando, perché la musica è un altro modo di fare poesia2 richiamando nomi celebri quali Dario Fo e i romani Gigi Proietti ed Enrico Brignano, divenuti celebri anche per una “teatralizzazione del dialetto” vale a dire per il loro impegno mosso, in campo drammaturgico, volto alla resa di scene, dialogici e circostanze genuine e spesso comiche imbevute di popolarità, oralità e una liquidità linguistica senza freni. Proietti, in particolare, che è recentemente venuto a mancare, ha rappresentato quella dialettalità romanesca istintiva e verace, atta e degna di vestire fasce trasversali di popolazione che non fanno a meno di ricorrere agli intercalari e alle tonalità capitoline.

Tesei, che nel 2019 ha rivestito il ruolo di Presidente di Giuria nella prima edizione del Premio Nazionale di Poesia e Arti visive “Città del Maglio” di Fabriano istituito dalla poetessa e scrittrice Emanuela Antonini in seno alle celebrazioni del noto Palio di San Giovanni Battista della città della carta, sostiene che il “destinatario della poesia è ogni persona che ha l’umiltà di ascoltare” sottolineando come essa sia potenzialmente un qualcosa di aperto, disponibile e fruibile a chiunque.

Non serve una laurea né studi specialistici, non serve un’inclinazione definita né si necessita di un profilo professionale particolare; la prerogativa che determina la possibilità di lettura, comprensione e fruizione è legata a un atteggiamento rilassato e attento, quello di un ascoltatore che intende ascoltare perché ne è convinto e interessato realmente. Se è vero che bisognerebbe essere umili nella scrittura, dinanzi a un mondo che spesso ci arroghiamo di conoscere e di descrivere con minuzia, è anche vero che – come ben sostiene Tesei –anche nel lettore l’umiltà (e direi la disponibilità all’ascolto, il saper dedicare tempo, il dedicarci all’altro) è condizione necessaria, in nessun modo sottovalutabile né aggirabile.

Parlando nel corso dell’intervista del processo ermeneutico che s’instaura nell’atto dell’acquisizione e lettura di un testo da parte del fruitore, Tesei si è espresso in questi termini: “A mio parere un testo è poesia solo se è immediatamente comprensibile non solo dalla testa ma anche dal cuore. Ossia, se il fruitore, ponendosi in ascolto della poesia, non sente nel cuore il “fremito” che ha provato il poeta nello scriverlo, non ha bisogno di alcun “critico” che lo aiuti a comprendere la poesia, semplicemente perché quel verso poesia non è oppure chi lo sta leggendo ha aperto soltanto la bocca e non il cuore”.

Molte delle altre domande poste nel corso dell’intervista non sono state risposte, tuttavia come sempre accade nella vita ci pare di poter dire che non è tanto la quantità a fare la differenza quanto, invece, la qualità. Le considerazioni espresse da Tesei – pur brevi ma ben esposte – chiarificano, ad ogni modo, il suo pensiero sulla poesia e rendono evidenti anche le ragioni del suo attaccamento e confessione in essa da tanti anni.

Interrogandomi con lui del possibile futuro della poesia che si può pronosticare, seppur per sommi capi, così ha avuto modo di dire: “Finché ci sarà un uomo capace di accorgersi di non bastare a se stesso ma che avrà il coraggio di porsi in ascolto, ci sarà la poesia”.

Alcune considerazioni di Tesei sulla poesia possono essere trovate in un agile pamphlet da me curato alcuni anni fa quale volume contenente gli atti di un convegno sui dialetti della provincia di Ancona, tenutosi a Senigallia presso l’Auditorium San Rocco il 2 aprile 2017 con interventi critici3 e letture di poeti nei principali dialetti della zona (anconetano, jesino, senigalliese e fabrianese). Una sua poesia tratta dalla raccolta Poesie per pensare sembra particolarmente utile e rivelatrice della sua concezione del ruolo del poeta:

Pe’ me el poeta

Pe’ me el poeta cià da scrie col core,

ossia come je vene da la mente.

Pe’ legelo ncià da volé un dottore,

l’ha da capì puré la pora gente.

Quela gente che, prima, l’ha ispirato

ma che ‘ncià tiempo de doprà la penna,

quela che quei pensieri jà ‘ffidato

perché chi no’ li sa, pure, l’intenna.

Perciò, el poeta che vole parlà,

quelo che siente no’ l’ha da cammiare.

Come un fiume de prima cià da fa,

che portàa l’acqua pura fino al mare.

1 Le risposte alla mia intervista sono state fornite dall’intervistato a mezzo mail in data 31/10/2020.

2 “Per onestà desidero informarla che io mi sono sempre tenuto lontano dagli ambienti che si avvicinano al dialetto come ad un corpo che, per conoscerlo, si debba sottoporre una sorta di “autopsia”, ma rispetto chi ne sente il bisogno” (da una conversazione privata a mezzo mail del 12/01/2017).

3 Al convegno presero parte: per il dialetto jesino il prof. Antonio Ramini (recentemente scomparso, per il dialetto fabrianese Teseo Tesei; per il dialetto anconetano Alfredo B. Cartocci e per il dialetto senigalliese Andrea Scaloni. Tutti i loro contributi critici, tranne quello del prof. Ramini, sono contenuti nel volume dell’incontro. Una notizia dell’evento che si tenne è reperibile in rete: Mario Maria Molinari, “I dialetti della Marca Anconitana in un convegno a Senigallia”, «Centro Pagina», 29/03/2017, link: https://www.centropagina.it/cultura/i-dialetti-della-marca-anconitana-in-convegno-senigallia/ (Sito consultato il 31/10/2020)