Soldi in arrivo per la tartuficoltura

20150930_124522Aree interne –  Bianco, nero, pregiato od estivo, il tartufo finalmente scende dal suo piedistallo.  Lato prezzo rimane un mito ma lato agricolo diventa un prodotto tutto da coltivare. Un fungo ipogeo all’origine di quell’economia dinamica che, per le aree interne, come quelle a cavallo tra le Marche e l’Umbria fanno la differenza. Quella che produce e genera filiere di trasformazione e di commercializzazione e diventa motore per  il turismo. Un passo importante è stato compiuto a Pergola, ad un convegno organizzato dalla Confederazione Italiana dell’Agricoltura e dal comune dei bronzi dorati in occasione della 20 esima “Fiera nazionale del tartufo bianco pregiato”. Il tema era la tartuficoltura. Questa volta però affrontata di petto: sul piano produttivo, con uno dei maggiori esperti del settore, Gianluigi Gregori del centro sperimentale di Sant’Angelo in Vado, attraverso boschi creati da piante tartufigene; e sul piano finanziario anticipando quello che saranno  le misure del nuovo PSR, il piano di sviluppo rurale delle Marche, di cui si conoscerà i bandi solo fra qualche mesi.

Tartufo Bianco Pregiato di AcqualagnaParliamo subito di soldi. Sulle misure riservate alla silvicultura e alla tartuficoltura, Fabrizio Cerasoli, referente della regione Marche sul Psr, non è entrato in tutti i suoi dettagli. Però questa volta è stato appurato che i finanziamenti ci sono e l’adesione per gli agricoltori è stato semplificata. Requisiti chiari, ben definiti, meno burocrazia e più digitalizzazione. Poi, delle novità intelligenti come il fatto che la tartufaia non deve più essere un lotto unico e nemmeno impiantata su terreni già coltivati, che ci sono soldi per compensare la mancanza di produzione del terreno in attesa che il bosco crea reddito ed un sostegno – sempre soldi – ma decrescente per la manutenzione. Unico neo, l’Unione Europea  sostiene le tartufaie ma continua a non capire l’importanza di finanziare piante micorrizate.

Piante che sono il principale lavoro di uno dei centri italiani più importanti per lo studio della produzione di piante tartufigene. “E’ assurdo finora quello che tanti agricoltori hanno fatto – spiega Gianluca Gregori. Sono anni che da agronomo studia le piante e lavora in laboratorio per produrre piante amiche dei tartufi. “Ogni tipologia di tartufo necessita il suo terreno. Pertanto prima di decidere è fondamentale individuare la tipologia del terreno e non con un prelievo solo ma con prelievi sistematici. Ci vuole una valutazione ecologica del sito d’impianto. Perché è morfologia, geologia, geopedologia, biologia molecolare, è cura della pianta, potatura, esigenze climatico-ambientali. Insomma non si tratta di piantare una selva e di guardare il suo sviluppo ma di coltivare un bosco. E dunque vanno valutato le tecniche migliori, la densità di piantumazione, i modelli colturali idonei“.

Santi GianfrancoLa tartuficultura, con la zootecnia, sono comparti di rilevanza primaria per le aree interne” sottolinea il direttore regionale della CIA Gianfranco Santi, le nostre zone le conosce bene è di Serra Sant’Abbondio. “Possono creare un agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Crea il reddito che fa rimanere l’uomo nelle aree interne, soprattutto in aree montane e svantaggiate, che con le culture  tradizionali non riescono più a competere”.

420694_237297486353030_1890699570_nNei momenti di difficoltà, l’industria si trasferisce all’estero – dichiara il sindaco di Pergola, Francesco Baldelli.  Ma un terreno non si può spostare. Le istituzioni devono difendere gli agricoltori, che sono anche i veri difensori del territorio. Il tartufo deve diventare una bandiera per tutti i comuni che devono fare squadra per creare la strada del tartufo pregiato delle Marche. Strada  attorno alla quale dobbiamo valorizzare la coltivazione del tartufo al fine di garantire una determinata produzione”.

Perché è questa la vera ragione della tartuficoltura e dei suoi finanziamenti. Compensare le variazioni climatiche per garantire una determinata produzione al fine di generare un distretto agricolo di nicchia ma ricco di opportunità dai risvolti economici (redditi), sociali (creazione di posti di lavoro) ed ambientali (garanzia che il territorio sia presidiato).

Véronique Angeletti@riproduzione riservata

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