La moda al tempo del Palio della Rocca di Serra Sant’Abbondio

Si è soliti dire che “l’abito non fa il monaco”, e ci sono casi in cui si potrebbe agevolmente concordare con questa affermazione, in special modo in una società globalizzata come la nostra nella quale è ben difficile etichettare l’individuo sulla base dell’abbigliamento, molto spesso standardizzato ed uniforme. Ma ci sono stati momenti storici in cui era proprio il modo di vestire che permetteva di inquadrare ciascuno in un preciso schema sociale, economico, culturale, e il periodo rinascimentale è uno di questi.

Francesco del Cossa, Trionfo di Venere. Ferrara, Palazzo Schifanoia

Il Rinascimento, come indica la stessa denominazione, è un momento di rinascita e di profondo interesse per l’uomo e per il mondo, inteso in tutte le sue sfaccettature. Il Medioevo aveva avuto una visione teocentrica, ponendo Dio al centro dell’universo e considerando il corpo poco più che un semplice involucro da mortificare con penitenze e digiuni perché ritenuto un ostacolo per la salvezza. Nel Rinascimento questa concezione viene in gran parte ribaltata, nel senso che prevale una visione antropocentrica del mondo, peraltro anticipata dall’Umanesimo che aveva posto al centro del mondo l’uomo, orgogliosamente fiducioso nella sua capacità di dominare le leggi della natura con l’ingegno e l’intraprendenza.

Questa rinnovata considerazione nei confronti dell’uomo porta di conseguenza anche ad una più attenta cura del corpo, non più visto come sinonimo di peccato ma come un elemento da rivalutare e valorizzare: le donne dedicano molto tempo a schiarirsi la pelle con rimedi “casalinghi” – nei trattati di bellezza sono consigliati la chiara d’uovo, il limone, l’aceto e la biacca -, per rendere i capelli biondi secondo la tendenza del tempo usano tinture o la comune camomilla – famose le ricette di Isabella d’Este, che riservava una particolare cura all’acconciatura -, si strofinano i denti con la salvia per sbiancarli, e inoltre fanno ricorso a profumi, belletti e ornamenti per aumentare il loro appeal.

Agnolo Firenzuola, che nonostante fosse monaco pare si intendesse di argomenti femminili, nel suo trattato “Dialogo delle bellezze delle donne”, scrive: «alle guance convenga essere candide come è l’avorio; il colore sarà diverso secondo la varietà e ‘l bisogno de’ membri diversi, dove bianco come la mano, dove candido e vermiglio come le guance, dove nero come le ciglia, dove rosso come le labra, dove biondo come i capegli. Questa è adunque, donne mie, non la diffinizione, ma la dichiarazione delle diffinizioni della belleza».

Naturalmente questo clima contagia anche l’abbigliamento che diventa ricco ed elaborato nelle classi sociali più elevate, ma anche fra la popolazione meno abbiente c’è il tentativo di tenersi al passo con la moda, sia pure in forme meno vistose e più a buon mercato. La nascita di una fiorente classe mercantile consente inoltre una rapida circolazione delle merci e quindi anche l’arrivo di stoffe pregiate da luoghi lontani, gli abiti cominciano perciò ad essere confezionati con la seta e il velluto, arricchiti con guarnizioni di pelliccia, bottoni di pietre preziose, fibbie e cinture intrecciate con fili d’oro e d’argento.

Piero della Francesca, Madonna del parto (la Vergine indossa la “gamurra”). Monterchi-Arezzo

Domenico Ghirlandaio, Giovanna Tornabuoni (la dama indossa la “giornea” sopra la “gamurra”). Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

Le donne indossavano tre indumenti-base: una camicia senza maniche retta da spalline, la sottoveste e una veste detta cottardita, indossata in alternativa alla gamurra, quest’ultima aperta davanti per permettere di assecondare eventuali cambi di taglia – ad esempio durante la gravidanza – e sopra la gamurra la giornea, aperta sui fianchi. Per uscire di casa soprattutto in inverno si usava la cioppa, una sopravveste molto ampia e talvolta foderata. La camicia era in seta o lino per le nobildonne, di canapa per le popolane, ed era l’indumento intimo che si portava sia di giorno che di notte. La sottoveste, o cotta, era formata da un corpetto aderente e da una gonna ampia e arricciata, mentre la veste aveva una scollatura generalmente quadrata – il seno, abbondantemente incipriato, veniva così messo in evidenza -, e il punto vita leggermente sollevato, la gonna molto ricca e le maniche, spesso ricamate e talvolta di stoffa e colore diversi dal resto dell’abito, che lasciavano uscire gli sbuffi della sottoveste. Per le giornate fredde era generalmente usato il mantello, foderato di pelliccia e con risvolti di velluto o altro materiale di pregio. Dalla metà del Cinquecento cominciò a diffondersi la moda elisabettiana: maniche “a prosciutto”, rigide gorgiere e imbottiture esagerate sui fianchi fino ad arrivare all’uso della crinolina, struttura praticamente indeformabile, una vera e propria gabbia per dare volume alla gonna.

Pinturicchio, Pio II canonizza Santa Caterina (nel particolare la “braghetta”). Siena, Libreria Piccolomini

Gli uomini non erano da meno quanto a eleganza e conformità alla moda del momento, anche se la moda maschile – ancor più di quella femminile – si differenziava nettamente a seconda dell’età, della professione e, come sempre, della condizione sociale. L’abbigliamento-base, che come indumento intimo prevedeva la solita camicia, era inizialmente incentrato su una tunica lunga fino alle caviglie, che viene progressivamente abbandonata per far posto ad un insieme composto dalla cottardita, che nella versione maschile arrivava appena ai fianchi, il farsetto, una sorta di gilet che si indossava sopra di essa, la cioppa in versione maschile – una sorta di soprabito o cappa di varia lunghezza da indossare all’aperto -, e le calze-braghe – antenate dei moderni fuseaux ma provviste di suola -, confezionate rigorosamente su misura per essere aderenti alla gamba come prevedeva la moda e realizzate con i colori araldici, talvolta diversi da una gamba all’altra (calze-braghe “divisate”). Un curioso accessorio era la braghetta, una piccola sacca imbottita collocata sull’inguine che copriva, ma nello stesso tempo sottolineava, gli attributi sessuali. Le calze-braghe, nel corso del tempo, furono indossate sotto ai pantaloni, che avevano lunghezze diverse ed erano talmente elaborati da risultare gonfi e ingombranti. Nella stagione fredda anche gli uomini indossavano il mantello, spesso lungo fino ai piedi e di colori diversi per indicare le varie professioni.

Agnolo Bronzino, Lorenzo de’ Medici Firenze, Galleria degli Uffizi

Piero della Francesca, Federico da Montefeltro. Firenze, Galleria degli Uffizi

Per entrambi i sessi erano previsti copricapi di vario tipo. Gli uomini di una certa classe sociale portavano il mazzocchio, uno spesso anello rivestito di tessuto, dal centro del quale si dipartiva una cascata di stoffa – il “becchetto” – che poggiava sulla spalla e poteva arrivare addirittura fino a terra, come si vede nel ritratto di Lorenzo il Magnifico eseguito dal Bronzino. Più comune era la berretta, un corto cilindro di panno rosso che si conosceva anche nella versione “alla capitanesca”, una “berretta rossa e tonda che quanto più s’innalzava sul capo tanto più si giva allargando” – come racconta Giovanni Antonio Campano nella “Vita di Fortebraccio” – cioè il copricapo reso famoso dal ritratto del duca Federico da Montefeltro, opera di Piero della Francesca.

Macrino d’Alba, Anna d’Alençon con la “resilla”. Crea, Museo del Santuario

Le donne si sbizzarrivano con copricapi molto diversi fra loro, dalle reticelle per raccogliere i capelli – più o meno semplici nella fattura ma estremamente preziose nei materiali – ai veli e alle velette indossati in vario modo, dal cappuccio al balzo, una specie di alto turbante realizzato con tessuti pregiati che dava risalto alla figura slanciandola, dal copricapo “a corna” in uso soprattutto presso i Fiamminghi alla “resilla”, una complessa cuffia retinata fatta di perle o pietre preziose.

Entrambi i sessi indossavano i guanti, spesso profumati, ritenuti un accessorio sintomo di eleganza e raffinatezza, ma anche di ostentazione della ricchezza visto che talvolta erano muniti di tagli per mostrare gli anelli.

La moda cambia continuamente, ma spesso ama riproporre stili, fogge, materiali, rivisitati secondo il gusto contemporaneo. Osservando con attenzione l’abbigliamento odierno, sia pure talvolta molto casual, si coglie qualche particolare ispirato a queste antiche vesti, certo non molto adatte al convulso way of life del XXI secolo, ma comunque ricche di spunti che, opportunamente attualizzati, donano ancora oggi un tocco di eleganza al nostro vestiario.

Tiziana Gubbiotti@civetta.tv

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