“Capre, Capre, Capre!!!”… Disciplina del pascolo delle capre e loro censimento nel Dipartimento del Metauro

Te ‘nisse ‘l bergóllo como da le capre!

Su ppe’ ’sta foce, dove l’erba bólla, ce sta ’nguattata la Capra Bergólla.

8La capra, nonostante la fama di demonicità e stupidità infondatamente attribuitale, è un animale autonomo, sensibile, curioso ed intelligente, che se la sa cavare in situazioni difficili, giungendo persino, talvolta, ad affezionarsi al suo padrone. Le capre, insieme alle pecore, hanno accompagnato il cammino dell’uomo sin dagli albori della sua colonizzazione del nostro Appennino, avvenuta a partire da epoca preistorica, lungo le rotte della transumanza. Il prodotto più prezioso che si ricavava dalla capra era il latte, che, leggero e squisito, veniva spesso usato come sostituto di quello materno nell’alimentazione dei neonati.

La nostra cultura popolare locale è, poi, piena di riferimenti alle capre, alle loro abitudini ed ai loro comportamenti, normali od apparentemente aberranti, segno d’una lunga frequentazione e convivenza, quasi simbiontica, tra i pastori dell’Appennino e questi animali delle rocce e delle sterpaglie spinose. La storia più interessante è quella della “Capra Bergólla”, tramandata, a voce, dai vecchi abitanti di Aiale di Scheggia. La toponomastica locale continua, inoltre, anch’essa, a segnalare l’antica ed abbondante presenza delle capre: “Il Caprile”, presso Costacciaro, luogo di stazionamento delle greggi di capre dell’Abbazia dell’Isola dei Figli di Manfredo, sin dal XIII secolo, e “Cacci Becci” (grotta dei becchi), lungo il selvaggio versante rupestre del Monte Catria, soprastante l’abitato di Isola Fossara di Scheggia.

73A partire dal maggio 2016, inoltre, una bella capra bianca, poi denominata “Filippa”, tra le 10 e le 11 del mattino, pascolando nelle vicinanze dell’ingresso alla Grotta di Monte Cucco, nel vedere arrivare i gruppi d’escursionisti, che vengono accompagnati in visita alla cavità, si avvicina loro con grande curiosità. Curiosa, ma schiva, Filippa non scappa, ma non si fa nemmeno accarezzare… si avvicina e, poi, si ritrae, quasi fosse sdegnosa di concedersi alle attenzioni di tali stravaganti sconosciuti.

Le capre erano e sono animali spartani che riescono a vivere, mangiando qualsiasi vegetale, anche il più duro e spinoso, ma, proprio per questo, esse possono risultare nocive se lasciate pascolare, senza controllo, in luoghi coltivati, come vigne, orti o giardini, od incolti, come boschi in rinnovo vegetativo.

12È così, che, nel 1813, il Dipartimento del Metauro, di cui le aree dell’attuale Parco del Monte Cucco facevano parte integrante, tentò di censire e disciplinare l’allevamento ed il pascolo del bestiame caprino, minimizzando i danni che tali animali potevano arrecare e massimizzando gli utili che se ne volevano ricavare.

Il 26 Luglio 1813, infatti, l’allora Prefetto del Dipartimento del Metauro, già richiesto di questo, inviava, a Milano, all’attenzione del Ministro dell’Interno, una dettagliata relazione sulla situazione del pascolo delle capre e sull’entità numerica, delle stesse, all’interno del medesimo Dipartimento, consigliando, inoltre, alcune buone pratiche di disciplina e gestione del fenomeno, ancora, quasi del tutto, deregolamentato.
4Il censimento del bestiame caprino evidenziava, così, un numero di capi pari a 26.807 unità. L’indagine, resa possibile grazie alla fattiva collaborazione dei Municipi, appurava, inoltre, come ad una così alta presenza di capre, pascolanti in collina ed in montagna (ma non mai in pianura), corrispondessero tutta una serie di problemi ecologici, ma anche di potenzialità di sfruttamento economico, ancora largamente inespresse, delle più svantaggiate aree marginali dell’Appennino. Se, infatti il dente delle capre risultava, come è scritto testualmente, “velenoso e mortale” per le piante da frutto, nei luoghi coltivati, e per il rinnovo di quelle da legname, nei luoghi incolti, il loro allevamento, privato, s’inverava, di sovente, come l’unica risorsa economica disponibile in zone, di collina e montagna, sterili e cespugliose, come, ad esempio, quelle, molto vaste, del Municipio di Scheggia e di quello di Pascelupo. Nel territorio di Scheggia e Pascelupo, che annoverava, nel 1813, complessivamente, circa 1.222 capre, distribuite su 95 capifamiglia proprietari, possedeva, ad esempio, ben 100 caprini il Principe Albani, nobile di Roma ed Urbino, 62 Giovanni Masci, probabilmente di Isola Fossara, 13 l’Abbazia di Sant’Emiliano, mentre la maggior parte dei “fuochi”, o nuclei familiari, non aveva, in media, che tra le 5 e le 10 capre. Per avermi fornito quest’interessantissimo documento sulle capre nel territorio di Scheggia ringrazio, sentitamente, l’amico Franco Parlanti, appassionato ricercatore di documenti antichi.

REGNO D’ITALIA ANCONA, Lì 26 LUGLIO 1813

PREFETTURA AGRICOLTURA Capre

DIPARTIMENTO DEL METAURO

SEZ. II METAURO

N.25735

Ho l’onore di rassegnare alla Vostra Eccellenza tutte le nozioni sul pascolo delle Capre in questo Dipartimento analogamente alla richiesta del perorato Dispaccio 14 passato Febbraio N.° 4201 Diario – 11.

Troverà L’eccellenza Vostra accennate nel prospetto da me compilato tutte le particolarità necessarie, e richiamati per via di numeri gli allegati in cui il tutto è più dettagliatamente notato, e segnatamente trascritte per esteso le locali antiche disposizioni e le recenti deliberazioni de’ Consigli.

Niuno de’ Comuni conosce alcuna legge generale del Governo Pontificio sia che dopo non vi abbia portato le sue vedute, sia che non le abbia estese a questo dipartimento.

Risulta dal prospetto, che raccoltone il numero dai diversi stati si trovano 26807 Capre nel territorio di questo Dipartimento.

Niuna pascola alla pianura.

Dalle notizie raccolte da’ Municipj e dalle persone esperte, e da quelle che io già aveva su tal particolare sembrami potersi formare il giudizio, che alla Eccellenza Vostra appresso trascrivo.

Egli è indubitato che il dente della Capra è per le piante velenoso e mortale sia che mordano una pianta di poca età, sia che mordano un ramo nato di fresco su pianta adulta. Se ciò derivi dalla saliva della capra affetta sempre da calore sì grande che eguaglia il febrile dell’altre bestie o derivi dalla patina appiccata ai denti, che renda velenoso qual pia(n)t(a).

A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR CONTE MINISTRO DELL’INTERNO

MILANO

qual meno il morso degli animali che se si addentano fra loro, è questione estranea alle discussioni economiche.

Questo animale cotanto pernicioso ne’ luoghi colti è stato formato dalla natura per rendere utile una qualità di terreno incapace di rendere alcun prodotto. I fondi su cui non vegetano ne’ erba, ne’ piante atte al taglio, non possono recare altro profitto, che sostentar le capre co’ loro sterpi.

La pecora non può vivere che d’ erba e quando si pone a pascolare sui sterpi dimagra, isterilisce, e nell’ inverno seguente sopraffatta dal rigore della stagione in uno stato di debolezza, soccombe. Per questi ed altri riflessi mi parrebbe opportuno avere in vista le appresso…

1° Non solo permettere, ma proteggere ed animare la conservazione e moltiplicazione delle capre ne’ luoghi di montagna sterposi, e per la loro sterilità non suscettibili di coltura.

2° Permetterne il pascolo anche nelle macchie di legno da fuoco esistenti alla montagna quando per l’eccessiva abbondanza di tal genere, e la distanza dal colle, e dalla marina il prezzo ne sia così vile che si trovi proficuo sagrificare una porzione di legna al dente della capra, per ricavare dalle macchie un secondo prodotto più vistoso del primo.

3° Vietare la permanenza delle capre in tutte l’altre situazioni.

4° I Consigli Comunali dietro proposizione de’ Deputati non aventi interesse direttamente o indirettamente potrebbero determinare i luoghi, ove fosse da permettersi il pascolo.

5° Ove avvenisse, che fosse indispensabile tradurre costantemente quantità di capre per entro luoghi di vietata permanenza, come addiviene allorquando i poveri abitanti ricovrati ne’ principali abitati conducono le loro capre ai fondi di diritto comunale, converrebbe determinare la linea che dovessero percorrere senza deviarne.

6° Giudicando talor necessario ai pii stabilimenti o particolari altri fertili territori di tenere alcun mese dell’anno qualche capra per uso del latte sarebbe necessario ordinare che le custodissero o legate con corda, o chiuse in recinti, o guardate a vista da persona idonea.

Oltre la rifazione de’ danni converrebbe unire rigorosa penale alla trasgressione de’ regolamenti.

Se ulteriori schiarimenti occorressero sull’oggetto suddivisato, sono in grado di poterli presentare colla maggiore sollecitudine e precisione.

Ho l’onore di protestarle il mio ossequio.

F.to Il Prefetto

 

Euro Puletti

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