Fano sotto assedio: la protesta di chi vive a Terre Roveresche, Mondavio e Fratte Rosa

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Per i cittadini di Terre Roveresche ma anche per quelli di Mondavio e Fratte Rosa, porta la firma del Comune di Fano, la decisione d’imporre al loro territorio un biodigestore vicino all’ex discarica di Ca’Rafaneto. Non parlano di ingerenza ma di una vera e proprio invasione. «Di più. Localizzarlo lì è riduttivo e fuorviante. Diverso sarebbe dire che si trova poco distante dei centri abitati di Barchi, Orciano e Mondavio, da un asilo nido, dalla scuola materna e secondaria, oltre che da aziende biologiche, motori dell’agroalimentare e del turismo enogastronomico». Chi parla è Mauro Biagioli il presidente del “Comitato a difesa del territorio”. Comitato grande 1439 iscritti costituito a giugno 2020 appena reso pubblico l’intento di installare Barchi un impianto di digestione anaerobica-aerobica con la capacità di trattare 40mila tonnellate di rifiuti organici e 10mila sfalci di potature del verde.

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Con i volontari sta organizzando la protesta che porterà oggi, mercoledì alle 18.30, davanti al Municipio di Fano, non meno di tre pulman carichi di famiglie a cui si aggiungeranno centinaia di persone che si sposteranno con i propri mezzi.

Spiega che finora non è stato mai dato una riposta alle email, pec, telefonate, inviti al Sindaco Massimo Serri, alla Giunta, a tutti consiglieri per spiegare in presenza il loro “no” all’impianto e ottenere le motivazioni del “sì” fanese ad un biodigestore purché sia installato altrove.

Pragmatici, il “no” lo contestualizzano intrecciando fatti e dati.  «La valle del Cesano – osserva Mauro – ha già fatto i conti con una pessima gestione ambientale dell’ex discarica di Ca’Rafaneto, con gli odori e l’inquinamento dei rifiuti stoccati dall’Agroter e si è mobilitata contro la centrale turbogas di Corinaldo. Adesso, un biodigestore è calato sul comprensorio con l’autorizzazione addirittura da un altro Comune». Temono che la centrale sia stata dimensionata per accogliere rifiuti di altre regioni, evidenziano la viabilità carente ma più di tutto invocano il diritto della popolazione a participare alle decisioni e alla salvaguardia della qualità di vita.

Anche se, oggi, ampi spazi lo riserveranno alle risposte. «Il perché – incalza Mauro – dopo aver speso ben 100mila euro di studio nel 2016, l’Aset dominata dal Comune di Fano non lo localizza più nel fanese? Perché Fano non tiene conto degli atti e del diniego motivato di Terre Roveresche, Mondavio e Fratte Rosa, delle associazioni di categorie Cia, Coldiretti, Confagricoltura e, come Aset, si presenta in comparticipazione “azionaria”?  Perché non siamo convocati alla Conferenza di Servizio sull’iter autorizzativo in Provincia di Pesaro e Urbino e perché non si tengono conto delle nostre osservazioni?».

Non si pronuncia sui risvolti “collettivi” del business plan della Feronia che, in cordata con Aset e Acea Ambiente, propone di smaltire in loco il percolato piuttosto che trattarlo a Porto San Giorgio o di usare i 70mila mc del movimento terra per coprire la discarica, a vantaggio di una riduzione drastica del canone dei 7 Comuni impegnati nel risanamento ambientale di Ca’ Rafano, della tari ai residenti e forse sui prezzi del metano. Ma fa notare che «quel business plan se ne parla ma non è stato ancora presentato ai sindaci e – incalza – ignora il parere di Arpam che in Conferenza di Servizi, vuole lo stralcio della proposta di smaltire il percolato poiché non è permesso».

Véronique Angeletti

Per capire la vicenda…

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Il progetto del biodigestore di Barchi (40mila ton. di Forsu acronimo di frazione organica del rifiuto solido urbano e 10mila ton. di sfalci) prende corpo con una Manifestazione d’interesse votata dal Consiglio Comunale di Fano nel luglio 2021 con scadenza a dicembre per individuare il partner privato per realizzarlo.

La risposte arrivò da 4 società: la fermana Feronia con un progetto a Cà Rafaneto (ex discarica che ha un costo altissimo di smaltimento di 592mila euro/anno) nel Comune di Terre Roveresche; la milanese Siram, il braccio italiano del colosso francese Veolia che si è fuso con il suo storico rivale, il gruppo Suez (autorizzazione dell’Antitrust della Commissione Europea a dicembre 2021) ed è oggi uno dei giganti mondiali nel settore della gestione ambientale; Acea Ambiente-Simam spa – Cavallari srl del gruppo Acea Roma ed infine Ecolat srl del gruppo toscano Estra, partner di Aset attraverso Aes della distribuzione del gas. Anche se la notizia vera era quella che non si presentò la pesarese  Mms, ovvero Marche MultiServizi (acqua, rifiuti, gas), Spa nata nel 2008 dove il partner privato Hera detiene 46,39% delle azioni e il 52,85% è in mano di Enti Pubblici pesaresi, insomma di quasi 40 comuni. La multiutility attraverso Green Factory srl  ha un progetto a Talacchio di Vallefoglia per gestire un biodigestore di 105mila ton. all’anno di rifiuti di cui 30mila di verde.

Il biodigestore pertanto si trova al centro di un intricato crocevia d’interessi. Quelli della marchigiana Feronia che ha superato la procedura autorizzativa in Provincia di Pesaro e Urbino il 12 luglio 2022 e non solo si dichiara pronta ad accogliere altri partner ma sostiene «poter realizzarlo da sola anche senza la proroga degli incentivi al biometano a fine anno». A differenza di MMs che afferma “senza ecoincentivi, il progetto non risulta conveniente». Una dichiarazione d’indipendenza che rende molto relativa come garante pubblico del territorio la fanese Aset.

Multiutility nata nei primi anni ’70 su iniziativa del Comune di Fano che, oggi, abbraccia nel suo assetto azionario Cartoceto, Monte Porzio, San Costanzo, Terre Roveresche, Colli al Metauro, Fossombrone, Isola del Piano, Mondavio, Montefelcino, Monte Porzio, Pergola, San Costanzo e Sant’Ippolito e tutela la cittadinanza nell’erogazione dei servizi e nelle tariffe. Solo che per Anac ossia  l’Autorità nazionale anticorruzione, “Aset non è una società in house” e quindi con un atto a luglio 2021 ha rifiutato l’iscrizione del Comune di Fano nell’elenco degli enti pubblici che operano attraverso affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house. Per i burocrati sarebbe una questione solo di carte non trasmesse ma intanto il diniego c’è  e riposa sul fatto che Fano ha il 97,2% delle azioni mentre gli altri 13 soci minori solo il 2,8% pertanto, per l’Autority, non possono avere lo stesso controllo della Città della Fortuna. Il che emerge nella vicenda del biodigestore di Ca’ Rafaneto se, nonostante la rigida presa di posizione dei consigli comunali soci di Terre Roveresche e Mondavio, Aset continua a valutare di essere partner di Feronia.

Un partenariato in realtà fondamentale. Fano con il diniego a firma dell’Anac ha bisogno di un partner industriale per poter partecipare alle prossime gare per il servizio distribuzione gas, servizio idrico integrato e igiene ambientale (rispettivamente previsti per il 2023, 2028, 2030). Partner che preferisce trovare nel privato piuttosto che nella pesarese Mms sotto controllo degli altri Comuni pesaresi.

Le ragioni sono in parte state spiegate in un comunicato stampa a firma del M5S di Fano il 24 giugno scorso “è l’unica via d’uscita possibile dal cul de sac in cui la nostra città si è trovata dopo che Marche Multiservizi si era rifiutata di coinvolgere la nostra azienda (Aset ndr) con pari dignità nel progetto dell’impianto di Talacchio, avanzando la condizione di procedere a una fusione delle due società di servizi, sonoramente bocciata dalla civica assise di Fano. D’altra parte non saremmo arrivati a questo punto se il consiglio comunale avesse accolto nel 2019 la nostra mozione che puntava a costruire il digestore nell’unico luogo urbanisticamente idoneo in città, cioè la discarica di Monteschiantello, anziché aprire la stagione del “decidere di non decidere”, facendoci perdere opportunità e tempo prezioso. Allo stesso modo, gli scenari sarebbero stati molto diversi se l’ATA, composta dai sindaci della provincia, avesse incluso l’impianto nella programmazione pubblica. Fatte queste premesse, – sottolineano i grillilni Mazzanti, Fontana e Panaroni – allo stato dell’arte, riteniamo interessante la prospettiva di convergere sull’unico impianto prossimo all’ottenimento delle autorizzazioni, piuttosto che mettere in cantiere un nuovo progetto per un terzo digestore, dopo quello di Green Factory (ancora non autorizzato) e di Feronia. La priorità attribuita al sito di Barchi spazza via anche il terrorismo di chi dava per scontata la localizzazione di Bellocchi. Il progetto ci farebbe risparmiare tempo nell’ottica dell’ottenimento degli incentivi, qualora fossero prorogati, e contribuirebbe inoltre a risolvere una ferita aperta come quella del post-mortem della discarica di Ca’ Rafaneto, molto onerosa per i Comuni già soci della Comunità Montana del Metauro. Affinché – concludono i grillini – il consiglio comunale possa dare il via libera all’operazione, servirà esaminare bene a cosa porterà la fase successiva della negoziazione. Pensiamo, infatti, che Aset debba essere protagonista dell’accordo che si andrà a comporre, ottenendo prima di tutto la garanzia di poter incidere in maniera determinante sugli indirizzi strategici di gestione, assicurandosi il conferimento ad un prezzo molto competitivo di tutto l’organico e degli sfalci che andrà a raccogliere come gestore del servizio di igiene urbana, oltre al controllo delle modalità di conduzione dell’impianto e del suo buon funzionamento, anche ai fini dei rischi di carattere ambientale. Questi obiettivi sarebbero facilitati da una quota di partecipazione in capo ad Aset ben maggiore di quella prospettata (30%)”.

Visione tuttavia alterata dalla recente presa di posizione da parte di Feronia di poter proseguire da sola.

Intanto le comunità rappresentate dal “Comitato a difesa del Territorio” che, per varie ragioni, non vogliono l’impianto oggi sentono il bisogno di manifestare davanti al Municipio di Fano e non davanti al Palazzo di Vetro della Provincia di Pesaro Urbino che ha dato formalmente l’autorizzazione.

 

 

 

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